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DONNE E HAREM SECONDO FATIMA MERNISSI


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DONNE E HAREM SECONDO FATIMA MERNISSI.




 
 
La figura femminile nel Maghreb, aldilà degli stereotipi, che la vedono totalmente sottomessa all'uomo, costituisce in realtà la colonna portante della famiglia.
In questi anni di grandi cambiamenti, la donna, soprattutto in Marocco è riuscita a conquistare nuovi spazi anche nel mondo della politica, del lavoro e della cultura.
Anche nel campo intellettuale, sono emerse delle esponenti femminili di grande rilievo. La piu' originale e conosciuta, tra questi personaggi, è di sicuro la scrittrice e sociologa Fatima Mernissi. Nessuno meglio di lei ha saputo raccontare la donna marocchina del passato e del presente e raffrontarla con un' attenta analisi e un' acuta ironia,a quella occidentale.
"Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez",cosi' esordisce la scrittrice nel suo libro "La terrazza proibita". In questo romanzo viene raccontata,sotto forma autobiografica, la vita negli harem, non come viene idealizzata nell'occidente, ma come in realtà viene vissuta nella tradizione. "L'harem era un posto dove un uomo dava rifugio alla sua famiglia, alla moglie o alle mogli, ai figli e ai congiunti". L'harem in realtà, aggiunge la scrittirice, non ha bisogno di mura per esistere, esso puo' essere semplicemente una condizione mentale, dei confini, delle regole da rispettare che sono scolpite sotto la fronte. L'Harem in cui visse la Mernissi rappresentava un rifugio, in cui un numero imprecisato di donne, dai differenti caratteri, ma tutte forti, condividevano la loro storia di vita ordinaria. Donne che se anche non avevano il diritto di varcare la soglia di casa senza chiedere il permesso degli uomini, riuscivano ad evadere con le ali dell'immaginazione. Anche la piu' alta terrazza di casa, era una meta proibita, da raggiungere di nascosto e rappresentava il solo luogo dove avvenivano degli scambi sociali tra vicini di casa che si passavano messaggi in segreto.
 
Si riflette   delle stesse tematiche nel libro "L'harem e l'occidente". La scrittrice qui espone come viene immaginato dagli occidentali questo luogo, ossia popolato da donne immobili, ingenue e condiscendenti. Basti osservare le differenze tra i dipinti di Picasso, Delacroix e Ingres raffiguranti harem idilliaci con donne semivestite, lascivie e disponibili e le miniature orientali in cui vengono rappresentate figure femminili indomite, irritabili e diposte alla vendetta.
 
Molto interessante è il confronto fatto dalla sociologa tra la donna musulmana e quella occidentale, Mentre la donna islamica ha l'obbligo religioso del velo, quella occidentale per non rischiare il rifiuto sociale deve rigorosamente attenersi alle regole di profeti-stilisti che impongono di entrare negli abiti taglia 42:

"Fu in un grande magazzino americano, nel corso di un fallimentare tentativo di comprarmi una gonna di cotone, che mi sentii dire che i miei fianchi erano troppo larghi per la taglia 42. Ebbi allora la penosa occasione di sperimentare come l'immagine di bellezza dell'Occidente possa ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti quali l'Iran, l'Afghanistan o l'Arabia Saudita".

Tuttaltro che sottomesse e impotenti, sono le donne che vengono fuori dai racconti della narratrice maghrebina, donne che hanno trovato la libertà anche in spazi delimitati, figure influenti che con abilità e forza sono state anche delle sultane come si evince nel saggio "Le sultane dimenticate", personaggi che come Benazir Bhutto hanno contribuito attivamente alla storia del nostro mondo.
(Stefania Picciau)
 
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